la recensione
Amore e vizi nella Manhattan senza scrupoli, Pivetti debutta a Cormons
Sala gremita per il debutto, la musica dagli Abba a Ligabue nella Grande mela del peccato.
Musica e pallottole, sentimenti e occasioni perse. Sul palco del Teatro comunale di Cormons, “Stanno sparando sulla nostra canzone” oscilla su un ampio spettro tra musical e prosa, delineato sempre più dal trio composto da Veronica Pivetti, Brian Boccuni e Cristian Ruiz. La nuova produzione di Artisti associati ha fatto mercoledì il suo debutto, davanti a una platea gremita per assistere alla pièce firmata da Giovanna Gra, che oltre alla sceneggiatura ha seguito la regia con Walter Mramor, nella Manhattan degli anni Venti.
In una scenografia minimale, dove sono più le parole e i suoni a fare da sfondo anziché i particolari, una coppia di amanti scapestrati guarda al proprio futuro giorno dopo giorno. Anzi, ora dopo ora, perché non si è mai sicuri di chi potrebbe sbucare all’improvviso da un vicolo buio, nella notte dominata dai gangster italo-americani. Jenny Talento e Nino Miseria, rispettivamente Pivetti e Boccuni, sono così i Giulietta e Romeo dove le famiglie sono quelle dei boss della malavita, un’aristocrazia moderna che osservano dai margini.
Jenny, fioraia di strada che guarda con distacco il crimine ma n’è silenziosa complice, viene travolta dall’irruenza di un ben più giovane Nino. Un ragazzo, quest’ultimo, dominato dal vizio dell’azzardo, che si muove in quella zona grigia dove si rischia sempre troppo spesso di sentire il fischio delle pallottole vicino al proprio orecchio. Con l’ironia amara che a farle partire sono anche quelle persone che si considerava amiche. In risalto, insieme alle luci e al vuoto disegnati da Eva Bruno, c’è l’ombra e il corpo di Micky Malandrino (Ruiz), tutto mitra e minacce.
Un’icona, questa, che trasborda quella del classico gangster, con il ghigno che si sovrappone allo sguardo vitreo di Gordon Gekko. Il broker del celebre film Wall Street è il richiamo più lampante agli sproloqui lanciati oltre la quarta parete, mischiando le incertezze di un’epoca uscita da conflitti e pandemie alla violenza sommessa delle iperconnessioni, dove “amore” e “sentimenti” sono brand ormai sottovalore rispetto alla fame insaziabile di carnalità, desiderio e relazioni mordi-e-fuggi. Il cuore diventa una banca, che presta emozioni a tassi altissimi.
A guidare la narrazione, le musiche scelte e riarrangiate da Alessandro Nidi insieme ad Elio Baldi Cantù. È così che nella New York di Al Capone risuonano le canzoni degli Abba, Ligabue, Madonna e molti altri, come un serpente che si divincola tra la violenza esplicita delle strade e quella oggi invisibile, racchiusa dentro le parole che non si pronunciano sullo schermo di un telefono. Luci e ritmo fanno il resto, scendendo e risalendo il metronomo del gusto come un carro lanciato a velocità impazzita sulle montagne russe. Fino a quando il buio non torna sui suoi passi.
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