‘Amateur smugglers’, così il gruppo En-knap racconta il confine

‘Amateur smugglers’, così il gruppo En-knap racconta il confine

La serata

‘Amateur smugglers’, così il gruppo En-knap racconta il confine

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 21 Ott 2024
Copertina per ‘Amateur smugglers’, così il gruppo En-knap racconta il confine

Spettacolo di danza plastica sabato sera al Kulturni Dom. Pubblico coinvolto nella performance.

Condividi
Tempo di lettura

La danza può cambiare il mondo. Mentre la civiltà non ha null’altro da offrire che guerra e distruzione, sul palco del Kulturni dom al sabato sera va in scena la festa. Loro sono gli “Amateur smugglers”, lo spettacolo di danza plastica ideato dai coreografi Silvia Gribaudo e Andrea Rampazzo nell’ambito della quinta edizione del festival di danza Visavì. In coproduzione con Artisti associati e in collaborazione con SSG, il gruppo En-Knap contrabbanda energia, felicità e amore attraverso la sola forza del movimento. Sul fondale vengono proiettate didascalie nelle tre lingue – sloveno, italiano e inglese – per condurre lo spettatore nella cornice di un percorso che ha inizio senza che questi ne sia consapevole. 

Nessun sipario apre lo spettacolo, perché mentre il pubblico entra ignaro in sala sul palco giace un uomo disteso, di cui si intravedono solo le gambe. Il torso è al di là di un telo nero, in maniera che l’uomo resti nel mezzo e il suo volto stia in quell’oltre anonimo. La sala è ancora illuminata, quando il bellunese Mattia Cason inizia a molleggiarsi sulle gambe. I suoi salti diventano una corsa. Al tragitto di Mattia si aggiunge quella dei compagni di viaggio: Tina Habun, Davide Lafabiana, Tamás Tuza, Carolina Alessandra Valentini e Nuria Capella. Si tengono per mano, si lasciano, formano una coppia, mutano ancora forma, nel continuo andirivieni di un itinerario in cui gli artisti scendono dal palco, si chiamano o salgono direttamente dalla platea dov’erano seduti fra gli altri. Un viaggio che diviene un per-correre, un correre con gli altri e per gli altri, in cui -citando Raf e Tozzi - “gli altri siamo noi”. Le didascalie narrano di questa linea di demarcazione: «Sei mai stato costretto a stare lontano?», domanda una scritta, mentre la corsa prosegue senza fine, mano nella mano e il sorriso sulle labbra. Compare il termine “prepustnica”, il celebre lasciapassare che consentiva di valicare il confine durante la cortina di ferro. Il gruppo di ragazzi si presenta, così che la danza diviene una chiacchierata fra amici, estesa alla stessa platea. 

Inizia Mattia, sfilandosi la maglia per restare a torso nudo, subito seguito dall’ungherese Tamás. Comunicano nelle tre lingue: raccontano dove sono nati e di Lubiana, città in cui vivono; chiedono una sigaretta, qualcuno dal pubblico gliela lancia. Per mezzo della contaminazione fra platea e palco la kermesse diviene un gioco, un continuum dove lo spettatore prende parte attiva all’happening e tutto può accadere. Persino l’amore fra un uomo e un altro uomo - nell’accezione dell’essere umano che si avvinghia a un altro essere umano - in una danza di corpi dove due universi scivolano e si abbracciano per perdersi e ritrovarsi. Un movimento che è quasi amplesso, sul cui fondo giace il senso della civiltà. «I need you», ripetono indicando gli spettatori uno ad uno. E ancora, «Preferite il Paradiso o l’Inferno? Alzate la mano, quanti preferiscono il Paradiso, quanti l’Inferno?», chiede Tina aiutata da Davide. E nell’antitesi fra “caldo/freddo”, “andare/stare fermi”, “inspirare/espirare”, la sintesi spetta allo spettatore, chiamato ad alzarsi dalla poltrona, a danzare insieme ai perfomer, per festeggiare l’unione e lo stare assieme al di là di ogni identità come di ogni lingua o barriera. «È il 13 agosto del 1950», raccontano Mattia e Tina. Al valico di Casa Rossa si raduna una folla che forza il blocco della polizia di frontiera. 

La città è invasa da una marea pacifica di persone, goriziani rimasti al di là in territorio jugoslavo che invadono le strade per riabbracciare fidanzate e amici. È la celebre domenica delle scope, così ricordata per via delle scope di saggina che vennero acquistate in gran quantità. «E se fosse oggi?», chiede il gruppo rivolgendosi alla sala. Uno spettacolo che costringe a prendere parte attiva nel fermento della vita, portando a riflettere sulla diversità e sul tema del confine attraverso il linguaggio universale del corpo e la musica di Luca Scapellato. E se oggi non ha più senso parlare di “confine” è perché a Gorizia e Nova Gorica le strade non hanno più il muro né filo spinato, e nella sala del Kulturni si sta tutti assieme come sul palco: italiani e sloveni, senza distinzione di sorta. Così che quest’oggi si potrebbe estendere al domani, portando una luce di speranza alle terre ancora martoriate dalla guerra. Per chiudere con quel lieto fine che soltanto l’arte è in grado di donare.

Rimani sempre aggiornato sulle ultime notizie dal Territorio, iscriviti al nostro canale Telegram, seguici su Facebook o su Instagram! Per segnalazioni (anche Whatsapp e Telegram) la redazione de Il Goriziano è contattabile al +39 328 663 0311.

Articoli correlati
...
Occhiello

Notizia 1 sezione

...
Occhiello

Notizia 2 sezione

...
Occhiello

Notizia 3 sezione