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L'allarme di Sos Rosa: «Siamo in pericolo, attacco ai diritti conquistati»
Il femminicidio non indica solo e non tanto il genere della vittima: il grido di allarme lanciato da Sos Rosa sulla violenza di genere.
Donna vita libertà è uno slogan nato dalle rivendicazioni delle donne curde ma è diventato negli anni il simbolo delle lotte di tutte le donne, del loro diritto all’autodeterminazione, una sintesi feconda da opporre a femminicidio, violenza domestica, violazione dei diritti umani. Stiamo, infatti, assistendo a femminicidi, stupri, alla messa in discussione della legge 194 cavalcando una mistica della maternità e della famiglia patriarcale, definita erroneamente famiglia naturale, dimenticando che è il luogo privilegiato dove avviene la violenza, non a caso nominata domestica, contro le donne. Una cultura patriarcale che ha prodotto il mito della “vera donna”.
Come sostiene Irene Facheris, una scrittrice e attivista femminista che si occupa di parità di genere e diversity: “La vera donna non rinuncia alla propria femminilità, si cura e si bella per il suo uomo, conosce il valore della famiglia e si sente a proprio agio a casa a badare ai figli, sa stare al proprio posto e capisce quando è il caso di parlare e quando no; se soffre lo fa in silenzio per non dare fastidio e se gioisce lo fa in maniera morigerata, poiché deve comunque mantenere compostezza ed eleganza".
"La vera donna è quella che vede la sessualità solo come una questione di coppia, un servizio da elargire, che ha come obiettivo principale la soddisfazione del bisogno maschile. La vera donna è madre e moglie, ancor prima di essere donna”. Ce lo hanno ripetuto per secoli e tutte quelle donne che si sono discostate da questo modello ne hanno pagato le conseguenze.
Siamo in pericolo, stiamo assistendo a un attacco ai diritti conquistati in anni di lotte e il corpo delle donne si configura sempre di più come un campo di battaglia. In particolare, il femminicidio non indica solo e non tanto il genere della vittima, ma la ragione per cui la donna è stata uccisa. L’uccisione di una donna in quanto donna, ossia che non ha rispettato lo stereotipo di donna, perché ha voluto essere indipendente e non riconoscersi come proprietà del suo compagno.
In Italia i dati parlano di un femminicidio ogni 3 giorni. Leggendo le cronache di questi avvenimenti, si rischia di considerarli fatti singoli e privati, spesso racconti romanzati della violenza stessa, dove, ad esempio, il marito o il compagno tradito o lasciato uccide la compagna per amore. L’invito che vogliamo rivolgere è di guardare non solo ai singoli casi specifici, ma di collocare ogni singolo caso all’interno di un contesto più ampio, dentro all’infrastruttura di ingiustizia sociale su cui si basa la nostra società e che produce queste forme di violenza, una composizione complessa di numerose oppressioni che includono anche la questione del genere.
Avere un compagno violento non è un problema personale perché accade a una donna su tre, è qualcosa di comune, purtroppo, a tante donne e quindi diventa una faccenda politica. Lo slogan femminista che dice: il personale è politico, intende sottolineare proprio questo aspetto: se il mio problema è diffuso non è più solo mio e insieme lo possiamo affrontare più efficacemente, anzi la società ha il dovere di occuparsene e, se ciò non avviene, abbiamo il diritto di protestare. Per questo, quando si parla di discriminazione e di parità di genere non si può non parlare di femminismo, ossia di una cultura legata al tema dei diritti umani che rivendica la parità politica, sociale, economica tra le persone.
Foto di Antonio Cansino da Pixabay
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