la riproduzione
Lucinico riscopre l'abito con 200 anni di storia, la copia perfetta creata da tre esperti

Presentato ieri sera l'abito ricostruito dopo una lunga ricerca storiografica, in occasione dei 95 anni dei Danzerini di Lucinico. I particolari.
Come la tela di un quadro, anche un abito è capace di raccontare una storia. Nel caso di quello ritrovato dentro Villa Nella a Lucinico diversi anni fa, le storie sono ben più di una, racchiuse dentro ogni singola cucitura e pigmento del tessuto. Un racconto di quasi 200 anni, che per lungo tempo la comunità locale avrebbe voluto preservare e rivalorizzare e che, alla fine, ha trovato compimento nel progetto presentato ieri sera. Nel centro civico, in occasione della Settimana della cultura friulana, è stata infatti svelata la ricostruzione fedele di quel vestito.
Un progetto complesso, portato avanti dai Danzerini di Lucinico, finanziato dalla Fondazione Carigo, Cassa Rurale Fvg e Unione dei gruppi folkloristici regionale. A portare avanti la fase operativa è stata una squadra di tre persone: il giovane costumista Massimiliano Antonelli, l’esperta merlettaia Ines Valentina Maccaro e la la textile designer Flavia Turel. Sono stati necessari circa due anni, a fase alterne, per riuscire a presentare al pubblico il risultato di una lunga ricerca, prima ancora della realizzazione in sé, su quel capo appartenuto ad alcune contadine del paese.
In realtà, l’idea di recuperare la memoria storica dell’abito risale a 20 anni fa, come spiegato dal presidente del gruppo folkloristico Giovanni Bressan. «Per altre tradizioni - ha spiegato - come in Sardegna è una cosa abbastanza semplice avere abiti con più di 200 anni. Qui è più difficile perché la guerra ha distrutto tutto, anche la memoria». Per ragioni di preservazione, quel modello oggi è ammirabile unicamente addosso al manichino, mentre la nuova copia è stata indossata per l’occasione, con tanto di ballo inaugurale.
Più precisamente, come rilevato da Antonelli, si tratta di un tabin, tipo di abito che veniva confezionato per il giorno delle nozze e usato successivamente nei momenti più importanti di società. Interamente realizzato in seta, testimonia la grande diffusione dell’industria dei bachi che trovò qui terreno fertile sotto l’impero asburgico. L’opera che è sopravvissuta fino ai giorni nostri presenta però anche le varie modifiche subite nel tempo, tanto che è distinta in due parti, il corpetto e la gonna, che presentano anche colorazioni diverse.
«L’Ottocento - così il costumista - è stato un secolo formidabile per le invenzioni e i cambiamenti, la moda si è altrettanto evoluta tantissimo». Partendo da uno stile napoleonico, alla fine dello stesso secolo si arriverà al primo pantalone. Da tenere in considerazione anche le necessità delle donne incinte nell’indossare un abito, in un’epoca dove le gravidanze potevano essere molto frequenti per la stessa donna. L’accortezza in questo senso si nota da alcuni dettagli, come l’orlo dell’abito già misurato per l’occasione.
A spiegare la ricerca del giusto pigmento è stata Turel, mentre Maccaro ha raccontato quella sul pizzo, arrivando a comporre un merletto a nove paia. Complessa anche la ricerca dei materiali, in particolare del tessuto che è stato recuperato ad Amburgo: «C'è difficoltà a reperire alcuni materiali - ha precisato Antonelli - anche perché la fast fashion sta distruggendo alcuni settori, mentre per altri non c'è più richiesta in molti luoghi». Alla fine, il progetto è andato in porto, terminando anche l’ampia gonna ampia tre metri e mezzo.
In ogni caso, visto anche il complesso iter che ha richiesto, questo «non sarà un abito di scena ma più per esposizione», ha annunciato Bressan. Per la copia originale, invece, si sta ancora ragionando su come preservarla, potendola comunque mettere a disposizione della collettività. Ad applaudire il percorso fatto sono state anche le istituzioni, tra cui l’assessore Maurizio Negro, il vicepresidente della Cassa rurale Umberto Martinuzzi, Claudio Degano dell’Ugf, il vicepresidente della Filologica friulana Renzo Medeossi e Marco Braida per la Fondazione Carigo.
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