IERI SERA
'Molto rumore per nulla' porta sul palco del Verdi la rivincita delle donne
Sara Putignano e Lodo Guenzi hanno aperto la stagione di prosa. Il pubblico è stato chiamato a riflettere sulla forza prorompente dell’universo femminile.
La donna trafigge il mondo con la sua luce, ma troppo spesso viene spenta in stella cadente per mano dell’uomo. Contro la disparità di genere si pone la regista Veronica Cruciani, che insieme alla saggista e ricercatrice Margherita Laera ha lavorato all’adattamento del testo shakespeariano per dare maggior rilievo ai ruoli femminili. Ha registrato il tutto esaurito la celebre pièce “Molto rumore per nulla”, andata in scena al Verdi ieri ser, martedì 12 novembre, inaugurando la nuova stagione di prosa. «Veronica e io abbiamo voluto mettere maggiormente in evidenza i personaggi femminili, dando in questo modo origine al personaggio di Antonia», spiega Laera dal Regno Unito, dove insegna all’Università del Kent. Quello che in “Much Ado About Nothing” (1599) del Bardo è Antonio – fratello di Lonato – nell’adattamento diviene “Antonia” (Marta Malvestiti), moglie di Leonato, con l’intento di rendere le donne figure di pari dignità agli uomini, in grado di trovare spazio e voce per esprimersi. Di rimando «viene dato più risalto alla protagonista Ero, che – prosegue – invece nell’originale parla ben poco». Un incipit in cui Beatrice (Sara Putignano) indossa in scena un paio di anfibi, accoccolata s’una sdraio a sorseggiare da una lattina di birra, con il pubblico ancora distratto. Dalla platea sfilano sul palco Don Pedro (Paolo Mazzarelli), Claudio (Lorenzo Parrotto) e Benedetto (Lodo Guenzi), nelle loro immacolate divise da marina militare, seguiti da pomposa.
Un adattamento che sfrutta il linguaggio dei giovani e il dialetto messinese per affrontare il tema universale dell’amore, con una forza prorompente che travalica i secoli. «La traduzione utilizza l’italiano contemporaneo – precisa Laera – perlopiù in un registro parlato, colloquiale. Volto soprattutto a comunicare l’immediatezza delle battute dei personaggi in maniera che possano essere comprese dagli spettatori, senza risultare troppo letterarie o troppo criptiche, pur mantenendo le immagini, le metafore e le battute (anche spinte) di Shakespeare». Facilitate dal testo originale per gran parte in prosa, Cruciani e Laera traspongono la vicenda in un presente indefinito, riducendone la durata a due ore e mezza e inserendo elementi di alleggerimento del complesso assetto. Come Crescione e Sanguinello, soldati che insieme alla coppia di guardie ricoprono il ruolo del fool shakespearinano. «Gran parte del testo inglese non è in versi, perciò utilizziamo un linguaggio che risulta piuttosto “naturale” in bocca ad attori contemporanei, cosa che invece non risulta possibile in inglese. L’adattamento si scosta poco dalla trama, abbiamo solo aggiunto il breve monologo di Ero per evidenziare i suoi sentimenti». Una scenografia curata da Anna Varaldo, che realizza una struttura scenica scarnificata a impianto tondo, con ipotetici richiami all’architettura del Globe Theatre in cui recitava il Cigno dell’Avon, poi distrutto in un incendio.
Incentrato sulle coppie Beatrice/Benedetto (Putignano/Guenzi) ed Ero/Claudio (Romina Colbasso/Parrotto), il testo si fonda sulla dicotomia dell’universo maschile, che si staglia a sovrastare con forza bruta quello femminile. Su quest’antitesi s’insinua Don John (Don Giovanni, nel testo originale), che trama contro «quella stronzetta precoce» che è Ero. I costumi di Erika Carretta trasmettono l’innocenza della sua dolcezza attraverso fiocchi e abiti rosa, in netto contrasto con i tailleur e le scarpe trasgressive della disincantata Beatrice. Uno schema poi annientato dalla festa dove Don Pedro si traveste per sedurre Ero: sorta di festino a luci rosse in cui i ruoli si confondono con abile gioco delle parti, mescolando verità e finzione e disorientando il pubblico. Ero si ritroverà innanzi all’altare infangata come «sgualdrina travestita da vergine», mentre Borraccia nota sottolinea che «tutti i preparativi vanno a farsi fottere». È una commedia spregiudicata in chiave moderna, quella cantata dai versi «Ragazza, non t’innamorare degli uomini che dicono bugie e si scusano scrivendo poesie». Un amore che trascina il pubblico in un vortice di menzogne e colpi di scena, trasformandosi via via in tragicommedia, per stemperarsi soltanto nell’ultimo atto in un finale plausibile. E ciononostante, quando Ero riaprirà gli occhi dopo essere svenuta il padre la preferirà morta. «Non hai sentito che tutti ti accusano di essere una puttana?», le domanda Leonato innanzi a tutti.
Dalla violenza sottesa alle parole del padre - «Se quel che dicono di lei è vero, queste mie mani la faranno a pezzi» - all’uxoricidio compiuto nell’Otello il passo è breve, e la donna rimane confinata in una vita di colpevolezza risucchiata dalle banalità maschili. Secoli di patriarcato additato dal trio tutto al femminile di Cruciani, Laera e l’aiuto regia Ilaria Costa, a un anno e un giorno esatto dalla crudele uccisione di Giulia Cecchettin. Quasi che per esistere, ancora oggi la donna sia costrette a “far rumore”, in bilico fra il grido e il silenzio. A distanza di 425 anni Shakespeare ci costringe a guardare oltre la castità e il rispetto – e oltre i versi innovativi cantati da Guenzi: «Anche i lividi sono carezze se con le parole facciamo a botte» - A dominare la scena sono proprio i giochi di parole e le allusioni con cui il Bardo intesse il suo ingarbugliato intreccio. «La parola, in questo testo, è uno strumento di potere – rimarca Laera – C’è chi parla “bene” (come gli aristocratici) e chi parla “male” (è il caso delle guardie, ma anche di Crescione e Sanguinello). C’è chi parla poco (la dolce Ero) e chi è accusata di “parlare troppo” (Beatrice); chi scherza prima, ma poi è serio (Benedetto) e chi usa le parole per ingannare (Don John). E ancora, chi dice la verità in un momento di debolezza (Borraccia) e chi ferisce (Leonato, Claudio, Don Pedro), mentre qualcuno soccombe (Ero). Il linguaggio di Shakespeare è in grado di creare interi mondi e di modificare la realtà, e il parlare diventa un atto creativo». Una potenza evocativa straordinaria, in grado di riportarci indietro da centinaia d’anni un universo femminile ancora immutato, sul quale tutti siamo chiamati a riflettere.
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