cinema
Le vite dei bambini sloveni di Lebensborn, storie raccontate a Gorizia

Il documentario di Maja Weiss ha aperto la rassegna di film sloveni del Kinoatelje, raccontando le storie di quattro bambini segnati dalla guerra.
Lo spettro della Terza guerra mondiale sembra sempre più tangibile. Mentre la Nato prepara la più grande esercitazione contro la Russia schierando 90mila soldati - poco prima della Giornata della Memoria - nella sala del Kinemax di Gorizia va in scena l’Olocausto. In collaborazione con il Centro cinematografico, il Palazzo del cinema e l’Ufficio del governo per gli sloveni d’oltreconfine e nel mondo, nell’ambito di Go!2025, si è aperta ufficialmente giovedì la rassegna di film in lingua slovena proposta dal Kinoatelje.
Un’iniziativa per celebrare il XXV anniversario del Premio Bratina e del festival Omaggio a una visione, inaugurata con il documentario “Raccolti alla fonte – I bambini sloveni di Lebensborn” (2023) di Maja Weiss, prima a ricevere il Premio Bratina nel 1999 per “La strada della fratellanza e dell’unità”. Si proseguirà poi l’8 febbraio, quando in occasione della Giornata della cultura slovena verrà proiettato il lavoro dedicato a Milko Bambič del regista Radovan Čok. Infine, il 14 marzo sarà la volta di “Corpo” (Telo), realizzato da Petra Seliškar, con cui ha vinto il premio Vesna nel 2023.
Quello della Weiss è un percorso interamente dedicato al cinema, che studia a Lubiana dalla metà degli anni Ottanta. Diverrà assistente alla regia al fianco di Marjan Ciglič e Boris Jurjaševič, ma il successo lo agguanta con il suo primo lungometraggio: “Guardian of the Frontier” ottiene il Manfred Salzgeber Prize alla 52esima edizione del Festival di Berlino e il premio come miglior opera prima al San Francisco International Lesbian & Gay Film Festival.
La storia dei bambini di Lebensborn non è inventata. Nel documentario quattro adulti raccontano le vicende della propria vita attraverso foto in bianco e nero e scorci di presente, ciascuno con il proprio dramma interiore. Personaggi con una doppia identità: quella slovena di origine e quella tedesca delle famiglie adottive. Ad aprire la narrazione è Franc Zagožen, nato a Bočna, dove rimane fino a tre mesi, quando viene deportato dentro una cesta per essere adottato a undici mesi da una famiglia belga, diventando Franz Chantraine. Ma la storia busserà di nuovo alla sua porta, facendo ancora una volta irruzione inattesa nella vita del piccolo. Per rivelargli impietosamente di essere stato adottato, e che la sua vera famiglia lo attende altrove.
Poi c’è Ivan Acman, che viene espulso nell’agosto del 1942 per essere inviato in un campo a Celje, quindi in Austria e Germania. A poco più di un anno diventa Hans Ferdinand Ritter Von Mann. Suo padre avrebbe voluto cedergli la tenuta, ma non fa nemmeno in tempo a tenerlo fra le braccia: sarà fucilato di lì a poco. «Perdonate un padre che difese i diritti della gente – è possibile leggere nell’ultima lettera di suo pugno – Ti amo dal profondo del cuore e non odio nessuno».
Un’opera di nazificazione dalla quale trae ispirazione lo stesso Putin nella sua folle invasione dell’Ucraina, richiamato alla memoria con palese evidenza da Weiss. Il messaggio che i protagonisti vogliono trasmettere è tragicamente di grande attualità, riflettendo sulla storia che a ondate si ripete. Un livore nel quale ci si è d’improvviso svegliati, senza reale volontà di entrare in guerra come già accaduto in passato. La domanda che pare attanagliare Weiss è la stessa che lascia oggi il mondo col fiato sospeso: come siamo arrivati, sull’orlo del baratro? È possibile tornare indietro?
Un’ipotetica risposta si cela nelle parole della stessa autrice, che ribadisce con forza come «le vittime più grandi di ogni guerra, da entrambe le parti - aggressore e aggredito – siano i bambini. La pace è il valore più grande». I bambini – nel documentario e nella storia reale – vengono sottoposti a ispezione sanitaria e condotti in Germania, a Kohren-Sahlis, vicino Leipzig. Qui sorge la struttura del Progetto Lebensborn, attraverso cui vengono selezionati i migliori, in grado di assicurare la supremazia della razza ariana.
La terza bambina a parlare, ormai anziana, è Erika Matko: «Sentii parlare per la prima volta di Lebensbor a 59 anni. I nazifascisti mi avevano separato con violenza dalla mia famiglia slovena. Avevo nove mesi, e sono arrivata nella mia famiglia a un anno e mezzo». Vittima del nazionalsocialismo, Erika diventerà Ingrid Von Oelhafen. «Un’istituzione che mi aveva scelto perché ero buona per la germanizzazione», ammette. Infine, Vili Goručan, più noto come Haymo Henri Heyder, celebre attore che ha partecipato a “L’enigma di Kaspar Hauser”, il cui padre adottivo era un lontano parente di Himmler. «Non sapevo che mio padre fosse stato fucilato dai nazisti, e non sapevo di chiamarmi Vili Goručan», rivela preferendo conservare il nome tedesco. I bambini venivano consegnati “a coppie affidabili”, ribadisce.
Per molti di loro il dolore più grande è stato dover tornare alla propria famiglia di origine, strappati dalla realtà di un altro nome. Rapiti alle madri in tenera età, non ricordano nulla, considerando proprie le famiglie adottive o sentendosi rifiutati. La giornalista Dorothee Smitz Köster, che ha incontrato Ingrid Von Oelhafen, di lei racconta come fosse convinta «di essere un’altra Erika Matko, con la stessa data e lo stesso luogo di nascita», in una sorta di alienazione dal sé.
A prendere in esame lo stato di salute dei bambini durante la guerra è Emelie Edelman, madre adottiva della scrittrice Gisela Heidenrich, lei stessa bambina di Lebensborn. «Mia madre mi ha sempre mentito. Era accusata di crimini contro l’umanità. Nessuno ha mai chiesto scusa a questi bambini», conclude con rabbia, incapace di trovare un senso. Oggi, ancora una volta siamo chiamati a riscrivere la storia con la parola “pace”. «Nei prossimi anni la pace non può essere data per scontata», ha dichiarato giovedì l’ammiraglio Rob Bauer al vertice della Nato. Nonostante tutto, la memoria insegna, afferma Weiss con il suo lavoro. A testimonianza di come questa piccola parola sia ancora in grado di germogliare, crescere, innalzarsi a bandiera. Per unire i popoli nella democrazia, vincere le follie del nucleare e tutte le dittature.
Rimani sempre aggiornato sulle ultime notizie dal Territorio, iscriviti al nostro canale Telegram e Whatsapp, seguici su Facebook o su Instagram! Per segnalazioni (anche Whatsapp e Telegram) la redazione de Il Goriziano è contattabile al +39 328 663 0311.

Occhiello
Notizia 1 sezione

Occhiello
Notizia 2 sezione
