Le partigiane di San Canzian e Turriaco, comunità unite dall'antifascismo

Le partigiane di San Canzian e Turriaco, comunità unite dall'antifascismo

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Le partigiane di San Canzian e Turriaco, comunità unite dall'antifascismo

Di Ivan Bianchi • Pubblicato il 25 Apr 2024
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Due cerimonie che si sono unite in una: San Canzian d’Isonzo e Turriaco hanno rispettivamente ricordato i caduti nella lotta per la liberazione.

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Due cerimonie che si sono unite in una: San Canzian d’Isonzo e Turriaco, nell’inaugurare il monumento alle donne partigiane al confine tra i due comuni, hanno rispettivamente ricordato i caduti nella lotta per la liberazione, chi in piazza a Turriaco chi a Begliano.

A Turriaco la cittadinanza si è ritrovata di fronte al monumento con i neodiciottenni. Qui, dopo i saluti dell’Anpi, Alberto Mauchigna, e del vicesindaco, Nicola Pieri, che ha letto il monologo di Antonio Scurati, è stata la volta del consigliere regionale Enrico Bullian. Con una digressione, Bullian ha ripercorso le tappe principali del Ventennio e del dopoguerra, raccontando ai neodiciottenni le tappe storiche della storia d’Italia. Tra le figure ricordate, prima della benedizione di don Nadir Pigato, quella di don Enzo Fabrissin, scomparso a dicembre 2023, «con il quale abbiamo passato tanti 25 Aprile assieme».

«Ricordiamo questo insegnamento e ricordiamo, come dico sempre a mio figlio Amerigo, che siamo – tutto sommato – nati nella parte fortunata del mondo, dopo la Seconda Guerra Mondiale e dopo che altri hanno conquistato la libertà anche per noi e per chi verrà dopo», così Bullian in conclusione.

A Begliano, invece, il sindaco Claudio Fratta ha ribadito: «Questo 25 aprile ci ritroviamo tutti molto stanchi e preoccupati per un futuro in cui sembrano scaduti e sminuiti i valori sui quali è fondata la nostra Costituzione repubblicana. L'attacco alla libertà di stampa e di pensiero è giunto ad un livello altissimo, sembra che il pensiero unico del governo attuale sia il solo a trovare spazio. È preoccupante!», così Fratta.
«La democrazia e la libertà conquistate anche con la lotta di liberazione non sono una condizione che una volta data è immutabile: vanno difese, custodite e curate ogni giorno, con i nostri comportamenti e con la consapevolezza di quanto sono costate», ha sottolineato ancora il primo cittadino.

Il discorso ufficiale, tenuto dal giornalista Andrea Bellavite, ha ribadito come «pensando a quell’esperienza che in quella fase iniziale univa comunisti, socialisti, cattolici, ortodossi, protestanti, ebrei e musulmani, non si potrebbe forse rilanciare la conoscenza dei luoghi e delle gesta della lotta di Liberazione, proponendo magari che quell’epopea sia riconosciuta come patrimonio unesco immateriale dell’umanità? Non si possono far cadere nell’oblio i monumenti che ricordano i caduti per la Libertà, gli ospedali partigiani di Franja e di Pavla, le tipografie nascoste tra boschi impenetrabili! Sono segni di un eroismo del quale anche oggi si ha bisogno, per combattere le risorgenti nostalgie neofasciste che sembrano prendere sempre più forza un po’ ovunque».

Bellavite ha proposto come «rinverdire la Festa della Liberazione significa ritrovare la forza e la convinzione di chi non si sente impotente, di chi crede che è ancora possibile cambiare registro, di chi pensa che l’essere umano ha tutte le potenzialità per trasformare le lance in falci, la vendetta in perdono, la violenza in autentica pace. Abbiamo tutto il diritto e anche il dovere di affermarlo in una terra che per tanti anni ha visto scorrere fiumi di sangue sulle nostre colline e montagne, ma ora si appresta a diventare addirittura capitale europea della Cultura. Dedichiamo ai partigiani sloveni e italiani questo straordinario onore che l’Europa riserva a Nova Gorica con Gorizia e tutti i comuni vicini. Lo dedichiamo a loro, perché siamo certi che sia questa cultura dell’amicizia, della reciproca comprensione, della valorizzazione delle diversità, l’obiettivo che si prefiggevano quando combattevano e quando morivano per tutti e per ciascuno di noi», così Bellavite.

Quindi l’inaugurazione del monumento, in via Villanorma Micheluz tra Turriaco e Pieris, dedicato alle donne partigiane: «Le donne hanno avuto un ruolo fondamentale nella resistenza: non solo come supporto agli uomini in clandestinità o come staffette, ma anche, armi alla mano, come combattenti. Un ruolo che non è stato molto valorizzato, anche se i numeri evidenziano quanto grande sia stato il contributo di sangue e di lotta delle donne, vittime di violenze, stupri, torture, deportazioni o cadute in azione. A loro siamo riconoscenti per quanto hanno fatto», ha ricordato Fratta.

Il discorso ufficiale è stato tenuto da Marta Cuscunà, da anni testimone sui palchi d’Europa non solo della storia della staffetta Ondina Peteani, ma anche della Resistenza in generale: «Oggi se la Presidente del Consiglio può rivendicare di essere donna, madre e cristiana ma contemporaneamente rivestire anche la quarta carica più importante della nostra Repubblica, è proprio grazie a quell’antifascismo che si rifiuta di nominare. Quell’antifascismo che ha portato le partigiane a liberarsi da una dittatura che voleva le donne ridimensionate alle sole funzioni materne e assistenziali. Essere antifasciste per le donne ha significato Rompere definitivamente con una società maschilista. Ha significato uscire dalla sfera domestica del privato in cui erano relegate per entrare nello spazio pubblico dell’impegno politico. Ha significato trasgredire le regole tradizionali della famiglia patriarcale, sovvertire le consuetudini sociali e religiose, sradicare gli stereotipi, aprire nuovi spazi di pensiero e di cospirazione. Per questo il racconto dell’esperienza partigiana maschile non è semplicemente sovrapponibile a quella delle donne partigiane», così Cuscunà.

«Oggi, In molte di noi non abbiamo fatto in tempo a conoscerle, le donne partigiane. Non abbiamo fatto in tempo a incontrarle e fare domande», ha proseguito Cuscunà che si e domandata: «Quanto deve essere stato difficile scoprire sé stesse e inventarsi da zero perché non c’erano modelli di riferimento in cui rispecchiarsi.

Quanto deve essere stato difficile sentirsi impossibili finché da sole non si sono realizzate. Il tempo e il revisionismo, soprattutto, cercano di allontanarci da loro, di cancellarle. Per questo oggi noi, qui, le rivendichiamo. Sapere i loro nomi e le loro storie ci aiuta a sapere dove siamo, a renderci conto della nostra deriva e soprattutto a chiederci chi vogliamo essere e non fermarci».
«In questo oggi tumultuoso, in cui guerre, genocidi, emergenza climatica e rigurgiti neofascisti scagliano l’umanità in ogni direzione, le loro storie, i loro nomi, sono un nucleo di forza a cui possiamo sempre tornare. È un onore venire dopo di loro. Guardiamoci intorno. Eccoci qui. Adesso è il nostro turno», ha concluso.

Foto Fabio Bergamasco

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