Bambino morto nel pozzo a Gorizia, il pm chiede condanna a 4 anni per Ziberna

Bambino morto nel pozzo a Gorizia, il pm chiede condanna a 4 anni per Ziberna

l'udienza

Bambino morto nel pozzo a Gorizia, il pm chiede condanna a 4 anni per Ziberna

Di Daniele Tibaldi • Pubblicato il 28 Mar 2024
Copertina per Bambino morto nel pozzo a Gorizia, il pm chiede condanna a 4 anni per Ziberna

Le richieste del pm questo pomeriggio davanti al giudice, la posizione di Ziberna: «In aprile le difese spiegheranno al giudice le ragioni per cui gli imputati ritengono di essere innocenti».

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«Chiedo che Ziberna Rodolfo venga condannato alla pena di anni 4 e mesi 3 di reclusione e alla pena dell’arresto di mesi 3 di reclusione. Per gli altri imputati chiedo che vengano condannati alla pena di anni 4 di reclusione e alla pena dell’arresto di mesi 3 di reclusione». È questa la richiesta formalizzata questo pomeriggio dalla pm Ilaria Iozzi per l’accusa di omicidio colposo alla giudice del Tribunale di Gorizia Cristina Arban. Le conclusioni del pubblico ministero sono giunte al termine di un’arringa durata circa un’ora, a cui hanno assistito, oltre ai difensori delle parti coinvolte, anche i genitori del tredicenne Stefano Borghes, fatalmente precipitato nel pozzo del parco di Villa Coronini il 22 luglio del 2020.

Assenti – come sempre dall’inizio del processo – tutti gli imputati ancora in attesa di giudizio, cioè coloro che al momento dell’incidente componevano il Curatorio della Fondazione Palazzo Coronini Cronberg: il presidente, nonché sindaco di Gorizia, Rodolfo Ziberna (difeso dall’avvocato Antonio Montanari), l’ex direttore della Biblioteca statale isontina Marco Menato (Paolo Menato e Christian Serpelloni), l’allora assessore regionale alla Cultura Tiziana Gibelli (Franco Dal Mas e Pierfrancesco Scatà), la direttrice del Servizio Ricerca, musei e archivi storici dell’Erpac Raffaella Sgubin (Francesco Donolato), il commercialista Maurizio Boaro (Enrica Lucchin) e il componente cooptato supplente Bruno Pascoli (Franco e Dario Obizzi).

Un’assenza che la pm ha fatto pesare non poco nelle sue argomentazioni: «Il loro atteggiamento processuale in nessun modo può essere valutato perché venga presa in considerazione la concessione di circostanze attenuanti». La magistrata ha anche rimarcato come, in questi anni, nessuno degli imputati abbia chiesto il dissequestro del pozzo per provvedere alla sua messa in sicurezza: «L’unica richiesta di dissequestro arrivata, ci è giunta solo pochi giorni fa, ma solo per poter beneficiare di un finanziamento del Pnrr da 760mila euro».

Non solo: «Finora non è stato versato neanche un euro a titolo di risarcimento danni alla famiglia di Stefano, e non è arrivata nemmeno una lettera di scuse, a dimostrazione del fatto che gli imputati non riconoscano neanche un profilo di responsabilità nella vicenda». Eppure, per la pm non ci sono dubbi sulle responsabilità a carico del Curatorio, l’organo amministrativo che, per statuto, è responsabile della gestione della Fondazione.

Una responsabilità avvalorata anche dalle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro: «Come ha stabilito anche la Corte di Cassazione la responsabilità del datore di lavoro è circoscritta e ben determinata da criteri oggettivi. Le garanzie a tutela del lavoratore, inoltre, si estendono anche agli utenti terzi che accedono a tutti gli ambienti di lavoro». Incluso il parco che, peraltro, stando allo statuto della Fondazione e per volontà dello stesso conte Coronini, «sarebbe dovuto rimanere accessibile al pubblico – ricorda Iozzi – tutti i giorni dell’anno, dall’alba al tramonto».

Secondo la tesi dell’accusa, «se anche la direzione del centro estivo avesse informato la direzione della propria attività, la Fondazione non avrebbe potuto fare altro che prendere atto della comunicazione e non avrebbe avuto nessun motivo per negare l'accesso a parco». E anche in quell’ipotetico caso, per la toga «nessuno, nelle 48 ore precedenti, avrebbe potuto mettere in sicurezza il pozzo o impedire a Stefano di avvicinarsi».

E la ragione è emersa nel corso del processo. «Quel pozzo – come sottolinea l’avvocato Stefano Spitaleri, legale della famiglia Borghes – c'era, ma per la Fondazione e per gli imputati non esisteva. Era presente, ma esente da ogni valutazione». È questo, infatti, lo sconcertante paradosso forse all’origine di tutta la vicenda: quel buco nero – del diametro di 138 centimetri e profondo 31 metri, chiuso da un coperchio di lamiera spesso quanto un paio di fogli di carta e precariamente appoggiato alla vera – non era mai stato inserito nel Documento di valutazione dei rischi, né era stato menzionato nel Quaderno delle anomalie.

Aggiunge Spitaleri: «Stefano, in quel contesto, non aveva compiuto nessun gesto “abnorme”. Sono convinto che nessuno avesse nemmeno indagato su quanto fosse profondo quel pozzo. Solo l’intervento dei vigili del fuoco, a seguito dell’incidente, ne ha accertato la profondità». Per la parte civile, quindi si tratta di una «totale assenza di diligenza da parte dell'organo direttivo della Fondazione». Afferma sempre Spitaleri: «La famiglia di Stefano non chiede pene esemplari, ma auspica che questa vicenda diventi monito ed esempio per chi amministra il patrimonio pubblico, soprattutto se prevista la fruizione da parte di ragazzi». Il parametro di riferimento chiesto dall’avvocato per calcolare gli importi dovuti a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale è quello delle Tabelle di Milano.

La dichiarazione di Ziberna
Non si fa attendere la dichiarazione del sindaco di Gorizia: «Ovviamente attendiamo che in aprile le difese spieghino al giudice le ragioni per cui gli imputati ritengono di essere innocenti. Senza dubbio la pubblica accusa, nel richiedere questa condanna, lo avrà fatto in virtù delle leggi».

Ziberna ribadisce, quindi, la sua posizione: «Innanzitutto rimane la tragedia della scomparsa del piccolo Stefano, che ha distrutto una famiglia e colpito la Fondazione e tutta la comunità. Non avrei personalmente potuto fare nulla per evitarlo. Come presidente del Curatorio sapevo che il Palazzo e le sue pertinenze erano state oggetto di un piano della sicurezza da parte di uno studio specializzato. Nessuno di noi è un tecnico capace di esprimere questi giudizi sul pozzo o altri luoghi della Villa o del parco».

«Essere sindaco a Gorizia e, pertanto, presidente del Curatorio della Fondazione Coronini per statuto, comporta, ahimè, anche questi rischi, senza dubbio ingiusti, ma obbligatori», conclude il sindaco.

Le prossime udienze
La discussione continuerà nel corso dell’udienza di venerdì 19 aprile, quando saranno esposte le argomentazioni a difesa degli imputati. Se il tempo non dovesse bastare, queste potranno continuare il 26 aprile. In ogni caso resta confermata l’udienza del 3 maggio, alle 14, quando potrebbe arrivare la sentenza di primo grado.

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